attualità

TRA PASSATO E FUTURO

Views: 29

Nell’articolo apparso sull’ultimo numero di questa rivista abbiamo mostrato come sia necessario trovare il tempo per dedicarsi alla preparazione del nostro incontro con i bambini, se vogliamo che i momenti passati con loro abbiano realmente un valore pedagogico. In questo articolo cominceremo a considerare come impiegare il tempo che riusciamo a ritagliarci a tale scopo. Chiunque abbia buona volontà può sperimentare quanto proponiamo; per cominciare bastano anche solo pochi minuti al giorno.
Sono tre le cose che possiamo imparare a fare in questo tempo: rivolgere lo sguardo al passato, immaginare il futuro e sviluppare una visione dell’essere umano che possa esserci di guida nell’educazione dell’infanzia. Consideriamo anzitutto come rivolgere lo sguardo al passato per ricordare dei momenti di difficoltà sperimentati con i bambini. Solitamente, quando ripensiamo a quello che abbiamo fatto con loro, se li abbiamo trattati con durezza, abbiamo perso la pazienza o ci siamo innervositi, troviamo sempre delle giustificazioni per il nostro comportamento, a differenza di quanto facciamo quando consideriamo le azioni degli altri. Dobbiamo invece imparare ad osservare le nostre esperienze con distacco, con lo stesso spirito critico che esercitiamo quando consideriamo quello che fanno gli altri. Per farlo possiamo procedere così: 1) Anzitutto scegliamo tra i nostri ricordi un momento particolare in cui abbiamo avuto qualche difficoltà con i nostri bambini. È di fondamentale importanza scegliere un avvenimento preciso, delimitato nello spazio e nel tempo, e non formulare pensieri generici, come ad esempio: «Mio figlio la sera non vuole lavarsi i denti». 2) Ricostruiamo poi i fatti così come si sono svolti in quella determinata circostanza, mettendo a fuoco il momento in cui ha avuto inizio la situazione che si è rivelata difficile e quello in cui è terminata l’interazione che ha generato il conflitto, e li rivediamo come in un film di cui siamo spettatori. Si tratta qui di sviluppare un pensare immaginativo, capace di seguire gli eventi esteriori senza fare considerazioni o commenti su quanto è successo, né tantomeno cercare di spiegare o interpretare i comportamenti delle persone coinvolte. 3) Quando abbiamo ricostruito a sufficienza la scena, rivedendo quanto è stato detto e fatto, passiamo a ricostruire quanto vissuto interiormente dai presenti, imparando a distinguere tra fatti interiori (gli stati d’animo) e i fatti esteriori. In questo modo a poco a poco riusciamo a tenere separato ciò che è percepibile ai sensi e che ricordiamo in immagini da ciò che può solo essere sentito col cuore[1]. 4) Bisogna infine domandarsi quali sono i pensieri e le convinzioni che hanno diretto le azioni che abbiamo compiuto. Questa fase è particolarmente difficile, perché pensieri e convinzioni ci spingono ad agire senza che ce ne rendiamo conto. Inizialmente non si saprà bene in che direzione cercare. A poco a poco però, con l’esercizio ripetuto, sarà possibile accorgersi che in noi vivono pensieri contraddittori, che sono all’origine delle nostre difficoltà. Ecco un esempio: una mamma il sabato mattina a colazione chiede alla figlia di fare i compiti per il lunedì, perché è l’unico momento in cui può aiutarla, e ha una discussione con lei, che in quel momento non vuole farli. Il pensiero che – secondo l’ammissione della mamma durante una consulenza – la spinge a insistere con la figlia fino ad entrare in conflitto con lei è: «Devo aiutare mia figlia a fare i compiti, altrimenti potrebbe andare a scuola lunedì senza averli fatti». Allo stesso tempo però lei sa che a sua figlia piace andare a scuola con i compiti fatti e che è perfettamente in grado di farli da sola. Questi due pensieri, una volta portati a coscienza, mostrano di avere due origini diverse. Uno viene riconosciuto come proprio, l’altro come estraneo. Per questo sono tra di loro in contraddizione e generano un conflitto interiore, che si manifesta come conflitto esteriore. Nel momento in cui la mamma si rende conto di ciò, il pensiero che l’ha spinta ad agire non viene riconosciuto come proprio e viene perciò abbandonato. Si creano così le condizioni per avere nuove idee su come rivolgersi alla figlia. 5) L’ultima fase della retrospettiva consiste appunto nell’immaginare che cosa avremmo potuto fare di diverso da quello che abbiamo fatto. Come avremmo potuto comportarci in quell’occasione per ottenere un risultato migliore di quello avuto? Non dobbiamo prescriverci cosa fare la prossima volta che ci troveremo in un caso simile, ma solo trovare con fantasia cosa avremmo potuto fare di diverso, anziché reagire secondo le nostre abitudini. Procedendo in questo modo creiamo uno spazio interiore nel quale all’occorrenza possono manifestarsi nuove idee su come intervenire in caso di difficoltà. Tutto dipende dal fatto di imparare a guardare a noi stessi con distacco senza criticare, spiegare o interpretare, riconoscendo i pensieri che vivono in noi, ma che non ci appartengono.
La seconda cosa che possiamo imparare a fare è decidere ogni giorno quale iniziativa prendere domani per il bene dei nostri bambini. Chi ha responsabilità educative nei confronti dell’infanzia compie di continuo gesti di cura nel corso di una giornata. La maggior parte di essi si rivolge alla cura del corpo, diventa routine e viene compiuta in modo automatico. I gesti educativi però si rivolgono all’anima del bambino e non possono essere automatici, ma devono scaturire da un’iniziativa consapevole, la cui realizzazione dipende dalla nostra libera volontà. Ogni giorno perciò possiamo decidere di prendere delle piccole iniziative per il giorno seguente. Non importa quanto piccole possano essere, quello che fa la differenza è che noi ci esercitiamo a mettere insieme la nostra capacità di rappresentazione, la nostra facoltà decisionale e la nostra azione concreta e conseguente, così da assumerci sempre piccole responsabilità per gesti educativi nuovi, non abitudinari. Bastano piccole idee per far sentire ai nostri bambini il nostro amore e aiutarli così a crescere sani e forti: fare con loro un disegno, costruire un piccolo giocattolo insieme, impastare i biscotti, organizzare una caccia al tesoro per i loro amici, fare una passeggiata, cercare delle cose belle nella natura da portare a casa, scegliere una fiaba da raccontare loro la sera. Il tempo che dedichiamo liberamente a loro è il più prezioso, quello che attendono senza chiedere e che fanno sentire loro quanto siano importanti per noi. Queste piccole iniziative portano molta luce e molto calore nella vita dei nostri bambini, se sappiamo offrire qualcosa che abbia veramente importanza per la loro anima e non semplici momenti di intrattenimento. Per questo è indispensabile che l’adulto, oltre che dedicare un po’ di tempo a quanto qui illustrato, si impegni anche a comprendere sempre meglio l’essere profondo del bambino, di cui cominceremo a parlare nel prossimo articolo
________________________________________
[1] «Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi» questa frase di Saint-Exupéry ne Il piccolo principe può aiutare a comprendere la differenza tra il secondo livello dell’esercizio e il primo.
.
CARI PAPÀ E MAMMA, CI DOBBIAMO SEPARARE!
La vita umana è un lento processo di individuazione. La parola “individuo” (dal latino “in-dividuus”) indica ciò che non può essere diviso. E la vita di ogni individuo può essere considerata come il cammino di scoperta del proprio io, unico e indivisibile, e della sua possibile autonomia. Questo cammino ha luogo attraverso una serie di processi di separazione, il primo dei quali è la nascita fisica. Con essa comincia anche la possibilità di educare. L’educazione, intesa come aiuto nella conquista dell’autonomia esteriore e interiore dell’io, è un continuo accompagnamento verso sempre nuove forme di separazione. La nascita è solo la prima di esse, quella più evidente e tangibile, con la quale il bambino si separa fisicamente dal corpo della madre. Accompagnare adeguatamente questa prima separazione significa lasciare che a poco a poco il bambino, sperimentando, provi le sue forze e sviluppi le sue capacità, esercitando la facoltà di scegliere tra le possibilità offerte dal mondo che lo circonda. Compito dell’educatore in questa fase della vita è anzitutto creare l’ambiente nel quale il bambino possa muoversi liberamente e fare sempre nuove esperienze, così da sviluppare i sensi e la sua capacità di movimento in piena autonomia. Perciò sarà bene lasciare che il bambino impari da solo a sedersi e a gattonare, ad alzarsi in piedi, a stare in equilibrio, a fare le scale e a camminare, senza volerlo aiutare sorreggendolo, o peggio ancora mettendolo in un girello o in un box. Sarà bene lasciarlo correre, saltare e arrampicarsi là dove non sia di disturbo, anche se ciò può risvegliare le ansie dei genitori, curando i suoni e i colori che lo circondano e i materiali che gli mettiamo a disposizione. Solo se diamo al bambino la possibilità di mettersi alla prova scegliendo da sé come misurare le sue forze approfondendo sempre più la sua percezione del mondo lo possiamo aiutare ad acquisire autonomia di movimento, fiducia in se stesso e capacità di valutazione del pericolo. Quando invece interveniamo continuamente prescrivendo e vietando più del necessario, non lasciamo il bambino libero di imparare a fare e a valutare da solo quanto sperimenta, mettendolo così in una situazione di continua dipendenza dal nostro giudizio e dalle nostre valutazioni. Nei primi anni di vita perciò la responsabilità dell’adulto è di accompagnare il primo processo di separazione (quello che porta ad una prima forma fondamentale di autonomia fisico-corporea), circondando il bambino di stimoli percettivi, persone, ambienti, cose e attività che possano costituire per lui delle buone opportunità e dei buoni esempi, rispettando sempre la sua capacità di scegliere tra ciò che gli viene offerto. Questo naturalmente non significa lasciare che il bambino faccia in ogni momento ciò che vuole, ma piuttosto attivarsi affinché la sua volontà e la sua nascente capacità decisionale si possano esercitare sempre di nuovo. Si raggiunge questo obiettivo imparando a distinguere – in primo luogo in noi stessi – tra la voglia e la volontà e proponendo al bambino, di tanto in tanto e senza esagerare, di scegliere tra pochi elementi, come ad esempio una tazza verde piuttosto che una bianca, un piatto di minestra in alternativa a uno di verdure, un percorso a piedi o in bicicletta e così via. Mettendo così il bambino nella condizione di potere esercitare la propria facoltà di scelta grazie a poche alternative selezionate con cura dall’adulto, gli consentiremo anche di stabilire un rapporto forte e significativo con il mondo che lo circonda a partire da se stesso e di sentire come l’adulto abbia fiducia nelle sue capacità. A questo fine sarà indispensabile dare al bambino la possibilità di muoversi in un orizzonte caldo, accogliente e rassicurante, pieno di stimoli naturali e culturali di indubbio valore. Verrà in tal modo coltivato in lui quel senso di comunione con il mondo e di fiducia in se stesso di cui egli ha bisogno per potere attraversare felicemente questo primo processo di separazione.
Un secondo processo di separazione si attua in relazione all’apprendimento del linguaggio. Attraverso l’imitazione il bambino impara a parlare e scopre a poco a poco la possibilità di usare la parola in modo diverso da come viene usata dagli adulti di riferimento che ha vicino a sé. Intorno ai quattro anni viene il momento in cui i bambini dicono cose che gli adulti reputano sconvenienti (parolacce e sciocchezze di ogni genere) e che questi ultimi cercano in tutti i modi di correggere, ritenendole “sbagliate”. Così facendo gli adulti non si rendono conto di trovarsi di fronte ad un nuovo processo di separazione: il bambino, attraverso un uso “insolito” della lingua, ne scopre la natura e le possibilità ed esprime con ciò la sua propria volontà, distinta e diversa da quella dell’adulto. Quest’ultimo ha il compito di lasciare libero il bambino di sperimentare le diverse possibilità date dal linguaggio, così come per il movimento corporeo lo ha lasciato libero di misurare le sue forze nei modi più diversi e di sperimentarne le conseguenze. Muovendosi liberamente il bambino entra in relazione con il mondo e impara che un movimento inappropriato può produrre una sofferenza corporea (una ferita, un livido, una bruciatura, ecc.), ma anche una sofferenza sociale: se dà un morso a un altro bambino, oltre al male fisico che gli ha procurato, ha anche alterato la relazione che ha con lui. Allo stesso modo quando esplora le sue possibilità linguistiche muovendosi in uno spazio semantico, entra anche in relazione con altre persone e si accorge che l’uso del linguaggio produce degli effetti in tali relazioni. Può divertirsi molto con i suoi coetanei facendo giochi di parole e allo stesso tempo irritare gli adulti che trovano sconveniente quanto egli dice, oppure avere vicino persone comprensive che non formulano giudizi di valore sulla sua attività di esplorazione linguistica, ma all’occorrenze gli segnalano quando è opportuno sospendere temporaneamente tale attività. Chi cerca di impedire al bambino simili esplorazioni linguistiche senza rendersene conto gli passa il messaggio: “Quello che stai facendo è sbagliato e pertanto io ti devo correggere”. Ciò produce nel bambino la sensazione di essere sbagliato e le conseguenze di un simile sentire possono essere un senso di inadeguatezza, di incapacità, di colpa, di inferiorità e possono portare il bambino a chiudersi in se stesso, oppure a comportarsi “sempre peggio”. Dovremmo invece rallegrarci nel sentire gli esperimenti linguistici dei nostri bambini, imparare da loro a giocare con il linguaggio con fantasia e dare dei buoni esempi di creatività linguistica, senza con ciò dire sciocchezze o volgarità, e se necessario, a partire da un’età in cui sono in grado di capirlo, segnalare loro che a seconda dell’uso che fanno del linguaggio possono coltivare relazioni umane interessanti e ricche, oppure anche trovarsi a frequentare cattive compagnie. L’adulto deve comunque avere chiaro che la scoperta da parte del bambino delle proprie possibilità, quella relativa al movimento fisico come quella linguistica e tutte quelle che verranno in seguito in questo lento processo di conquista dell’autonomia attraverso successive separazioni, è sempre un’opportunità per cadere e rialzarsi, imparando così a proseguire il proprio cammino sulle proprie gambe.

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *